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Lampada per i miei passi è la tua parola...

I MOLTI VOLTI DELLA MISSIONE NEL NUOVO TESTAMENTO
Ritorno alle radici della missione
(David Bosch)

Introduzione
I. Come Gesù ha vissuto la missione
II. La missione in Matteo
III. La missione in Luca
IV. La missione in Paolo

Il servizio che Dio chiede al suo popolo implica precisi impegni nei confronti di quanti sono esclusi al suo interno: orfani, vedove, poveri, forestieri. Ma, nella sua storia, ben presto prende coscienza che la compassione di Dio abbraccia anche tutti i popoli. Il Dio di Israele è Creatore e Signore del mondo intero e perciò Israele può capire la propria storia solo in collegamento con la storia delle nazioni pagane, mai come una storia a parte. Soprattutto il libro di Giona e il secondo di Isaia richiamano questa dimensione. Isaia e i Salmi parlano di un Dio che condurrà le nazioni pagane a Gerusalemme, perché lo adorino insieme al popolo dell'alleanza.

Ma, insieme a questa prospettiva incoraggiante, c'è un retroterra molto meno positivo: in realtà Israele non vuole andare verso le nazioni pagane e invitarle a credere nel Signore. Non c'è da stupirsi, quindi, se nel corso dei tempi sia stato l'atteggiamento negativo a prevalere nei confronti dei "pagani". Quanto più si deteriorava la propria situazione politica e sociale, quanto più cresceva l'attesa del giorno in cui il Messia sarebbe venuto a sconfiggere le nazioni pagane e "a ricostruire" Israele. Questa speranza era in genere legata a idee fantasiose di dominio del mondo da parte di Israele, a cui tutti sarebbero stati sottomessi.

Il primo cambiamento del modello di missione si è verificato con Gesù di Nazareth: l'azione sua e della chiesa degli inizi presentano differenze decisive nei confronti dell'Antico Testamento, anche rimane però essenziale per cogliere la natura della missione di Gesù e dei suoi seguaci.

C'è, infatti, una chiara differenza tra la fede di Israele e le religioni dei popoli vicini. Queste sono legate alla natura e ai suoi cicli, mentre Israele parte dall'affidarsi al Dio che li ha liberati dall'Egitto: è il Dio che agisce nella storia in favore dei poveri, come inizio e pegno del suo intervento decisivo che farà alla fine. In questa luce, la fede di Israele comprende anche la finalità della sua elezione: Dio l'ha scelto per un servizio e se questo non è compiuto, l'elezione perde il suo senso.

LA NOVITÀ DI GESÙ

Alla nascita di Gesù, era questo il clima dominante. Sì, c'erano i proseliti e i timorati di Dio, due categorie di "pagani" attratti dal giudaismo, ma lo erano per iniziativa propria: generalmente i pii giudei non si preoccupavano per nulla degli altri gruppi. Spesso non si preoccupavano neppure di tutti i membri della propria razza. Già vari secoli prima di Cristo, si era fatta strada la convinzione che non tutto Israele si sarebbe salvato, ma solo un resto fedele. Vari gruppi religiosi del giudaismo ritenevano se stessi questo "resto" e mettevano tutti gli altri, anche i compatrioti giudei, fuori dalla società. L'azione di Giovanni Battista si colloca in questo contesto. Nella sua ottica non era più pensabile che "tutto" Israele fosse eletto: i giudei che lo circondavano erano "una razza di vipere" e uguagliati ai pagani, fuori dall'alleanza: chi si pentiva doveva sottomettersi al rito del battesimo allo stesso modo dei pagani che si convertivano al giudaismo.

Sta qui la netta differenza tra Gesù e i gruppi religiosi giudei del suo tempo, Giovanni Battista compreso. Gesù, giudeo, sente di avere una missione verso "tutto" Israele. Percorre in lungo e in largo il paese, invia i discepoli a tutti, il numero stesso dei Dodici è in riferimento alle 12 tribù del suo popolo. Il comportamento di Gesù è un continuo superare le pratiche e le strutture che escludevano qualche parte del suo popolo dalla comunità israelita: lebbrosi, poveri, esattori di imposte, prostitute, popolo semplice che ignorava la Legge. L'establishment giudeo li emarginava, con semplicità Gesù accosta queste "pecore perdute della casa d'Israele", questi "ultimi".

Per gli ambienti religiosi era particolarmente scandaloso che Gesù frequentasse gli esattori: erano considerati dei traditori della causa giudea, collaboratori dei Romani e sfruttatori della propria gente. Gesù non li evita. Si invita lui stesso in casa di Zaccheo, chiama Levi a lasciare il suo lavoro e seguirlo. La sua chiamata è un gesto gratuito, che ristabilisce una comunione e inizia una nuova vita anche per gli esattori.

La tradizione, soprattutto quella trasmessa da Luca, parla di Gesù "speranza dei poveri". Poveri è un nome generico che comprende spesso le categorie già citate. Se sono tali è perché le circostanze (o, più esattamente, i ricchi e i potenti) sono state dure nei loro confronti. Sono angosciati per il domani e preoccupati per il cibo e il vestito. "Dacci il pane di questo giorno" era una preghiera per la sopravvivenza. Attraverso l'azione di Gesù, Dio inaugura il suo Regno escatologico in favore dei poveri e dei messi da parte. "Nel contesto della religione ebraica, non ci poteva essere una rivendicazione più forte" (Schottroff).

UNA MISSIONE INGLOBANTE

Colpisce il carattere "inglobante" della missione di Gesù. Riguarda i ricchi e i poveri, gli oppressi e gli oppressori, i peccatori e le persone pie. La sua missione mira a sbloccare le separazioni e a far crollare i muri di inimicizia tra le persone e i gruppi. Come Dio gratuitamente ci perdona, anche noi dobbiamo perdonare chi ci ha fatto dei torti, senza limiti.

Tutto questo è particolarmente evidente nei Logia (i detti) della fonte Q, che annunciatori itineranti diffondevano in tutta la Palestina, prima ancora della stesura dei Vangeli. La principale insistenza è l'amore dei nemici, per riuscire a guadagnare, se possibile, questi stessi nemici. Rifacendosi alla magnanimità di Dio, i discepoli di Gesù non si definiscono in opposizione con quelli che non lo sono. Anche le profezie più dure non vogliono essere che appelli estremi al pentimento. Gli annunciatori sono pronti a perseverare fino a che l'ultimo israelita ribelle sia ritrovato e condotto all'ovile, ma non blandiscono e non fanno costrizioni: il loro è un invito.

I "pagani" figurano spesso nei Logia (Gesù loda la fede del centurione romano e della donna cananea), ma l'orizzonte di Gesù rimane il quadro della fede e della vita religiosa giudea del primo secolo, anche se lo supera con il puntare a tutto Israele e non solo ad un piccolo resto. Ma attenti, questo non è un accordo con i teologi che attribuivano l'idea della missione ai pagani non al Gesù terreno, ma ad un insieme di circostanze socioreligiose e all'apporto di alcuni iniziatori, in particolare Paolo. Il fondamento della missione universale risale a Gesù stesso. È stata la natura della sua azione, che rompeva tutte le barriere, a creare nei suoi discepoli la convinzione che l'alleanza di Dio si allargava oltre le frontiere d'Israele.

Richiamiamo alcuni tratti salienti del ministero di Gesù.

1 - La proclamazione del Regno di Dio

È il centro di tutto il ministero di Gesù. Nel suo tempo, periodo di dominazione straniera, prevaleva la concezione del Regno di Dio come una realtà totalmente futura, che avrebbe capovolto la situazione e dato il dominio a Israele. Gesù, invece, sottolinea due elementi. Primo, il Regno di Dio riguardava non solo il futuro, ma anche già il presente, si era reso vicino; qualcosa di totalmente nuovo stava avvenendo; la speranza di liberazione si faceva vicina, il futuro era già entrato nel presente. Secondo, il Regno di Dio giungeva dovunque Gesù vinceva il potere del male. Siccome il male assume forme diverse – malattia, morte, possesso del demonio, peccato, privilegi dei gruppi, emarginazioni, vendette – anche il potere di Dio assume forme diverse.

Non si comprende l'azione di Gesù verso gli emarginati se non si coglie ciò che per Gesù è il Regno di Dio. È soprattutto a quanti sono messi ai margini della società che Gesù offre la possibilità di una nuova vita, basata sulla realtà dell'amore di Dio: possono stare a testa alta, sono figli del suo Regno, Dio si prende cura di loro. Agli occhi dei contemporanei di Gesù, Satana mostrava sugli impossessati la sua capacità di spadroneggiare. L'attacco del Regno di Dio contro il male si manifesta, allora, particolarmente con le guarigioni e la cacciata dei demoni: se Gesù caccia i demoni "con il dito di Dio", "è segno che il Regno di Dio vi ha raggiunti" (Lc 11,20).

Va notata la natura inglobante del Regno di Dio: Gesù tocca tutte le forme di alienazione e tutti i muri dell'inimicizia e dell'esclusione. Per lui non c'è opposizione tra salvare dal peccato e salvare da una malattia fisica: per noi salvare è diventato un termine esclusivamente religioso, mentre nei Vangeli è usato almeno 18 volte nel caso di guarigione delle malattie. Anche il termine perdono comporta significati che vanno dalla liberazione degli schiavi al condono dei debiti, alla liberazione escatologica e alla remissione dei peccati.

La manifestazione del Regno di Dio nell'azione di Gesù è politica, anche se non nel senso moderno del termine. Dichiarare "figli del Regno di Dio" i poveri, era esprimere un profondo scontento della situazione e un forte desiderio di cambiamento. Per le vittime della società, la fede nella realtà del Regno di Dio risultava come un movimento di resistenza al fatalismo e all'emarginazione. Il venga il tuo Regno doveva suonare alle autorità come un proclama chiaramente politico. Hanno, infatti, ritenuto sovversiva l'azione di Gesù e l'hanno eliminato.

2 - Il comportamento di Gesù nei confronti della Legge ebraica.

Per Gesù, il principio decisivo dell'agire non è la Torah, ma diventa il Regno di Dio. Esso si manifesta come amore verso tutti i viventi. L'A.T. conosceva l'amore forte e tenero di Dio verso Israele; ora l'amore di Dio inizia a superare le frontiere di Israele. Inoltre, nell'azione di Gesù, le persone contano più delle regole e dei riti. Dimostra che è impossibile amare Dio senza amare il prossimo. Questo implica nuovi criteri per le relazioni umane. I discepoli di Gesù, nelle loro relazioni, dovranno riflettere un altro sistema di valori, che mostreranno con il servire gli altri, invece di dominarli. Imiteranno così il loro Signore, che ha loro lavato i piedi. Gesù si è offerto per amore degli altri; essi dovranno fare lo stesso.

3 - La chiamata e l'invio dei discepoli.

Nel Vangelo di Marco il ministero di Gesù comincia con il proclama: "I tempi si sono compiuti, il Regno di Dio si è avvicinato, convertitevi e credete all'Evangelo" (Mc 1,14). Subito dopo riporta la chiamata dei primi discepoli. La concatenazione dei fatti non è casuale: i discepoli ricevono la chiamata a essere missionari.

Anche i rabbini avevano dei discepoli. Ma quelli di Gesù sono radicalmente differenti, e le differenze sono dovute proprio alla missione. Scelti da lui stesso, non hanno per scopo di conoscere la Torah, ma di seguire Lui; non devono diventare dei licenziati in teologia, ma dei suoi testimoni. Per i suoi discepoli Gesù non è solo un maestro, ma il Signore, lo servono; e lui si fa loro servo. Seguirlo è partecipare al suo servizio: sono chiamati "per stare con lui e per essere inviati a predicare e cacciare i demoni" (Mc 3,14). È partecipare alla sua missione: li investe della sua stessa autorità: devono fare e proclamare ciò che lui compie e proclama.

Un'ultima differenza: i discepoli di Gesù formano l'inizio del popolo messianico degli ultimi tempi: mentre lo seguono nella sua passione, attendono il suo ritorno nella gloria. È questa "attesa" la motivazione della missione: se con Gesù i tempi escatologici erano iniziati, la salvezza era estesa a tutti. I discepoli non devono, perciò, ritenersi un gruppo esclusivo, elitario: essi sono i primi frutti del Regno, che accettano di impegnarsi nella sua comunità di servizio verso tutto il mondo.

4 - La missione dalla prospettiva della Pasqua.

È stata l'esperienza della Pasqua a determinare la coscienza e l'identità della giovane comunità cristiana: le ha fatto vedere l'azione del Gesù terreno sotto una luce nuova, e come criterio per capire la propria vocazione. La croce di Gesù era la fine del vecchio mondo, la sua risurrezione era l'irrompere del nuovo.

I Vangeli articolano perciò la Pasqua alla missione: il Cristo glorificato attira tutti a sé; la sua elevazione è il segno della vittoria già riportata sul male. Il Regno di Dio non è un programma che la chiesa debba realizzare, è una realtà già inaugurata dall'evento di Pasqua: la missione è proclamare e manifestare il Regno universale di Gesù, non ancora riconosciuto e ammesso da tutti, ma già reale.

Anche la Pentecoste è legata alla missione in modo altrettanto costitutivo. La missione è la prima attività dello Spirito. È lui che rende testimoni i discepoli e li spinge nel mondo. A Pentecoste si sprigionano le forze del mondo futuro: per questo i discepoli devono partire, andare a tutti, presto, senza perdere tempo per strada.

Si configura, così, il campo della missione: insieme alle forze del mondo futuro, dono di Cristo e del suo Spirito, permangono le forze contrarie con tutto il loro peso. La chiesa primitiva ha inteso il suo impegno missionario nel mondo nei termini di una fine dei tempi "già arrivata" e, nello stesso tempo, "ancora in via di realizzazione". La sua invocazione "Maranatha" (vieni, Signore!) esprimeva una forte speranza non ancora realizzata. L'ingiustizia e l'oppressione non erano scomparse, la povertà, la fame e la persecuzione infierivano pesantemente.

Era quanto si era verificato nell'azione di Gesù: non aveva guarito e liberato tutti: "Ha introdotto il Regno di Dio nel mondo del male, ma non l'ha ancora realizzato totalmente e universalmente. Ha posto dei segni, per mostrare che il Regno si era avvicinato e che la lotta contro le potenze e le autorità di questo tempo era cominciata" (Käsemann).

La chiesa primitiva ha continuato l'azione di Gesù, ponendo dei "segni" del Regno nascente di Dio. Ma Gesù stesso era un segno contestato (Lc 2,34) e anche i segni da lui posti erano contestati e ha servito nella debolezza, nell'ombra. È così che la missione autentica si è sempre presentata: nella debolezza.

DALLA PRASSI DI GESÙ ALLA NOSTRA

Non possiamo applicare le parole e l'azione di Gesù direttamente alla nostra realtà, radicalmente diversa: siamo chiamati a prolungare la sua logica, in modo creativo, nelle nostre situazioni storiche: oggi, come allora, quale "diversità" risulterebbe nei confronti della società se, nel suo interno, ci fossero davvero dei gruppi che cercano con tutte le forze il Regno di Dio, pregano per la sua venuta, sostengono la causa dei poveri, si pongono al servizio degli emarginati, rialzano chi è oppresso e curvato e, soprattutto, "proclamano l'anno del favore del Signore"!

L'azione di Gesù esprime la forza di Dio che si prende cura di tutte le dimensioni della vita. Ma, per ora, le forze contrarie restano una realtà, continuano a gridare il loro potere. Noi dobbiamo essere, nello stesso tempo, impazienti e modesti: la nostra missione non realizza il Regno di Dio. Gesù stesso ha inaugurato il Regno, ma non l'ha ancora realizzato. Come lui, siamo chiamati a "porre dei segni" del Regno finale di Dio: niente di più, ma anche niente di meno. Quando preghiamo "venga il tuo Regno" ci impegniamo, qui e ora, a porre dei segni che siano delle immagini e degli anticipi del Regno di Dio.

Il Regno di Dio verrà, perché è già venuto. È, nello stesso tempo, dono e impegno, regalo e promessa, presente e futuro, celebrazione e speranza. Abbiamo l'assicurazione che niente potrà bloccare la sua venuta.


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Settembre 1998